Chissà, dopo i cadaveri e le distruzioni di Patti e Cefalù, i siciliani perbene avranno forse capito che il ponte sullo Stretto non rappresenta il solo problema dell’Isola? Se soltanto un decimo delle risorse e dei provvedimenti destinati all’opera più costosa, inutile e rischiosa mai progettata in Italia fosse stato impiegato per dotare i vigili del fuoco di autobotti e di manicotti funzionanti, magari qualche famiglia piangerebbe un morto in meno, non sarebbe in apprensione per la sorte di un figlio, di un marito, di una moglie, di una sorella. Ma potevano Cuffaro e suoi compari, che si riconoscono e si compattano nel Partito Unico Siciliano, occuparsi di queste quisquilie quando la Storia li ha chiamati a ben altri compiti, nel tempo lasciato libero dalle contrattazioni con i bracci sinistri di Provenzano sul tariffario sanitario regionale? Così un’impresentabile classe politica, capace grazie al Pus di superare ogni barriera ideologica, ha usato la costruzione della più moderna torre di Babele, per distrarre i compaesani dalla propria inettitudine.
L’assalto degli incendi ha infatti confermato una volta ancora la mancanza di strade adeguate. Non soltanto i grandi collegamenti da Palermo a Siracusa, da Messina ad Agrigento, bensì le vie interne, che spesso sono le antiche mulattiere con una mano di bitume sopra. Strade sulle quali diventa problematico procedere in contemporanea nelle due direzioni. Per fortuna dove non sono arrivati né la volontà né gli appalti ha provveduto la fantasia. La Catania-Ragusa è considerata a scorrimento veloce: ottanta chilometri di curve e di strettoie, percorrenza media superiore alle due ore. Non passano neppure le autoambulanze con la sirena a tutto volume. Superfluo aggiungere che la ferrovia è molto peggio, bisogna quasi sempre transitare da Siracusa. State calmi e tutto si risolverà: le menti raffinatissime del Pus si sono infatti inventate il pagate 10 – cioè i miliardi di euro necessari in teoria per il ponte, nella pratica pare che potrebbero triplicarsi – e avrete anche le strade. A noi somiglia sempre di più a un ricatto. Cuffaro, però, scrive che non è così e Cuffaro è un uomo d’onore e agli uomini d’onore bisogna credere, per dirla con Shakespeare. Gli continua a credere una generazione di siciliani, che, anziché scappare, si fa abbindolare dai 6-700 euro mensili dei lavori socialmente utili. È la più collaudata macchina elettorale di voto di scambio e la più sofisticata prigione a cielo aperto.
Questi poveri disgraziati costretti da subito in ginocchio dinanzi al potente di turno – immagine perfetta della sudditanza mafiosa – sono utilizzati in misura proporzionale alla necessità politica. Tranne, poi, essere spediti in ferie coatte com’è capitato ai forestali nel mese topico degli incendi in Sicilia. Problemi di bilancio, quelli inesistenti per la pletora di dipendenti regionali, altro perfetto marchingegno di consenso, di privilegi, di nepotismo. Costituiscono ormai il principale sbocco lavorativo della Sicilia, guadagnano il doppio degli statali, si mangiano una fetta enorme del bilancio, sono attualmente impegnati nella dura battaglia per mantenere la possibilità di andare in pensione a quarantacinque anni con venticinque anni di anzianità. In fondo sarebbero bastati cento amici degli amici in meno assunti a Palazzo dei Normanni per avere i fondi necessari a tenere in servizio i forestali allorché occorrono. Spreco per spreco almeno oggi sarebbero state versate meno lacrime.
La Stampa, 29 agosto 2007